Tre settimane fa sono stata chiamata a parlare del mio lavoro davanti a due terze del Liceo Scientifico di Montichiari, una città in provincia di Brescia che ricordavo perché una volta ci avevo presentato un evento musicale in piazza, e un’altra avevo bevuto un bicchiere di bianco buonissimo su un divanetto sgarrupato degli anni ’60.

Non avevo una missione e non l’avevo presa bene

I ragazzi avevano preparato per me un centinaio di domande a sorpresa (adoro le sorprese) per conoscere il mio lavoro, per avere più idee e consapevolezza quando toccherà a loro decidere cosa fare nella vita.

Mi hanno portata a parlare del mio percorso professionale, di quando ho lavorato in radio, poi in libreria, in redazione, poi in uno studio di registrazione, nel reparto creativo di un’altra radio e poi in un’altra ancora. Ho parlato dei miei errori personali, delle città che ho lasciato, dei compromessi che non ho voluto fare, della forza che ho dovuto tirare fuori in certi momenti, degli sbagli (ah l’ho già detto?) quelli che mi hanno insegnato di più.

Che sono stata speaker, libraia, correttrice di bozze, selezionatrice del personale, assistente di doppiaggio, copywriter, voice talent e che poi ho deciso di prendere tutta questa esperienza e farne il mio lavoro di oggi.

Tutta, niente escluso. Anche gli stage con rimborso spese, i corsi di formazione, quello di marketing e quello sul visual merchandising, quello sulla comunicazione analogica e quello di dizione, la tesi di filosofia sulla lettura, il periodo a lavorare in pizzeria mentre ero all’università, le serie tv che ho visto (erano molto interessati), il teatro che ho fatto, la corsa e il pilates che mi hanno insegnato dove finisco, le relazioni con le persone, con i clienti e con i colleghi, le storie d’amore naufragate (qualcuno è arrossito).

Li ho rassicurati, perché è normale che siano ancora confusi, se tutto sembra vago, se ancora non vedono all’orizzonte un destino, una missione, la professione che si stacca da tutte le altre per aderirti, quella che fa il salto più in alto per farsi notare. Ehi sono qui, vieni a prendermi.

Io quando ero piccola non avevo una missione e non l’avevo presa bene.

Mi metteva in difficoltà e anche un po’ di ansia quando mi chiedevano “che cosa farai da grande?” e guardavo con un po’ di stupore tutti quelli che avevano ben chiaro da subito quello che volevano fare. Il pompiere. Ma come hanno fatto mi chiedevo.

Faccio due cose bene e voglio continuare a farle

Io sono copywriter e voice talent, non è che un giorno mi sono svegliata ed ero copywriter e voice talent. C’è stato un giorno però, quando ho aperto la partita IVA (ok, qualche settimana prima) che ho deciso che era quello che volevo fare, era per quello che volevo essere ricordata, perché l’avevo già fatto per molto tempo e lo sapevo fare e mi piaceva e a volte è solo un’etichetta che ci dobbiamo dare.

La mia esperienza mi ha portato a esercitare queste due competenze e a farmi desiderare di continuare a farle. Non ho trasformato la passione in un lavoro: è stato dall’inizio tutto tremendamente serio per me.

Che io non sia brava in una cosa sola potrebbe lasciare perplesso qualcuno, in un mondo di idraulici o di avvocati, di psicologi o di social media manager, di cuochi e ballerine, di receptionist e personal trainer. Si può dire che sono specializzata in due cose? Non ce n’è una che mi piace più dell’altra e non ce n’è una che voglio scegliere perché mi fa guadagnare di più: voglio farle entrambe perché per me, insieme, sono fortissime.

Non solo fare sia la voice talent che la copywriter non mi ostacola nel mio lavoro, ma mi dà l’opportunità di essere più generosa, più ricca, più curiosa in entrambi i settori. Laddove le due professioni si incontrano io sono capace di elaborare soluzioni migliori.

E dove si incontrano?

La donna dei due mondi: la forza delle parole

Il mio lavoro consiste nel trasmettere un messaggio nel modo più incisivo possibile. Lo faccio con la scrittura pubblicitaria e con lo speaking. Utilizzo due mezzi, la scrittura e la voce.

Racconto le storie con le parole che scrivo e con le parole che leggo.

Trovo il modo più efficace per comunicare. Non sono lavori poi così lontani: l’intersezione di questi due mondi mi genera nuovi quesiti su cui interrogarmi e mi dà la possibilità di risolvere dei problemi, di migliorare il risultato finale, tirare fuori nuove idee e nuove soluzioni.

Ognuna delle due competenze dà all’altra, si alimentano, si integrano, si confrontano, si usano, espandono il mio business non lo sminuiscono.

Mi hanno presa a lavorare come copywriter a Radio 105 perché venivo dalla radio e non perché ero una copywriter: sapevo come si doveva leggere una citazione pubblicitaria o un publiredazionale e quindi cosa andava scritto, sapevo come sono strutturati gli spot che funzionano, perché la musicalità delle parole e i tempi della radio li ho bene in mente, perché sono sempre in ascolto, perché sono sensibile alle parole che scelgo, perché devo essere sintetica per esigenza e non solo per forma o per estetica.

Nel mio lavoro di copywriter scelgo solo parole che avrei il piacere di leggere.

A volte penso sia difficile comunicare queste due competenze, rivolgersi a nicchie differenti, a bisogni diversi, far capire che sono brava a fare entrambe le cose, a chiedere ai miei clienti di fidarsi di me due volte. Loro lo fanno e non si pongono tutte queste domande, ma io volevo dirlo lo stesso.

P.s.: sai chi sono gli slash worker? E i multipotenzialisti? Forse lo sei anche tu.

 

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