Cucinare è volersi bene
Conoscevo Myriam dal blog Romeo and Julienne (non è un nome meraviglioso? Vorrei averglielo dato io); viaggiatrice alla scoperta di sapori e appassionata di cibo, un giorno è piombata da me con un progetto nuovo di zecca: aiutare le persone a nutrirsi in modo sano, colorato, allegro e gustoso, conciliando la cucina con i tempi della vita quotidiana. Boom, bellissimo.
Voleva mettere in piedi un’attività di consulenza one-to-one di food coaching per insegnare a organizzarsi e cucinare piatti sani e “green” per la vita di tutti i giorni rivolto a quelle persone interessate alla cucina naturale ma poco abili, quelle che non ne conoscono gli ingredienti o che pensano che serva tantissimo tempo per mangiare sano e con gusto.
Il naming è legato ai valori
Quando chiedo a Myriam quali siano i suoi valori, mi risponde così:
- Genuinità: del cibo, delle materie prime, dell’approccio all’alimentazione e in generale alla
vita. - Trasparenza: non ci sono trucchi e magie, ma solo tecniche e competenze. Trasparenza è anche creare un rapporto diretto, caldo, amorevole con i miei clienti.
- Relazione: tra le persone, perché nulla meglio del cibo è in grado di creare relazioni autentiche. Cucinare per sé e per la propria famiglia diventa un piacere quotidiano, un gesto d’amore per sé e per gli altri.
- Amore: per sé stessi in primis, e per gli altri poi. Attraverso quello che cuciniamo possiamo volerci bene e voler bene agli altri.
Tieni a mente queste parole perché sono quelle da cui sono partita.
Naming
Quando presento un naming ci sono dentro 5 proposte molto diverse tra loro che hanno una scala di creatività crescente. Non sono tutte proposte audaci, né tutte tradizionali: ce n’è di solito una più classica o conservativa che è l’evoluzione delle idee che il cliente ha già avuto ma a cui manca qualcosa, due/tre creative che mettono in luce concetti differenti e una/due molto creative.
Dopo la compilazione del Marino posso orientare il lavoro e scegliere di tralasciare le troppo creative o quelle tradizionali ma di norma fare la scala aiuta anche il cliente a chiarire che tono di voce avrà il suo brand. Quando il cliente si trova a decidere, la scelta è un mix di pancia e testa che cerca il suo equilibrio. Propongo nomi che piacciono a me? Certo, non propongo mai niente che non userei. Ma ho scartato tanti nomi, talvolta geniali (ogni scarrafone), che mi piacevano da impazzire perché non sarebbero stati bene addosso a quel cliente. Questo è un passaggio fondamentale che si deve imparare a fare, distaccarsi quel tanto che basta dal proprio gusto per fare il bene del cliente e perché il nome non è creatività pura, è l’insieme di creatività e strategia. Quindi la domanda non è “è bello o non è bello?” quanto “funziona o non funziona?”.
Myriam ha scelto la proposta più tradizionale delle cinque che ho creato per lei, quella che conteneva l’evoluzione della sua idea iniziale. Aveva girato intorno a questi nomi: food coach, food sitter e food mama che per un motivo o per un altro non la convincevano (e ha fatto bene).
The food sister
Questo è quello che Myriam si aspettava dal suo nome:
Un nome originale, fresco, divertente che suggerisca l’approccio relazionale del mio lavoro.
Sister (dall’inglese sister, sorella) riesce a rendere bene la sensazione che vuole comunicare: mette la relazione al centro e utilizza un approccio informale, un consiglio da parte di chi ti vuole bene proprio come farebbe una sorella, che è tua partner nelle avventure incredibili che solo con le sorelle si possono fare. Confidenza, riconoscenza, parità come anche empatia, tanti sorrisi e sperimentazione.
Cosa c’è di più rispetto ai suoi food coach, food sitter e food mama? Coach risulta più freddo e impersonale: non rende l’idea di cura, amore e relazione su cui punta Myriam. Sitter dall’inglese “custode” è più un accudimento: ma non è esattamente questo che fa Myriam. Guida sì, ma si mettono le mani in pasta, c’è molta azione, che con “sitter” non arriva totalmente. Sitter è più mi guardi il bimbo? Mi guardi il cane? Mi guardi il cibo? No.
Mama ci ha fatto subito pensare a Big Mama o zignorina Rozella: bisogna fare attenzione agli evocativi, i pensieri e le sensazioni che sono collegate al nome. Tutto questo non corrisponde all’immagine di Myriam, giovane, solare, filiforme, delicatissima, curata.
Il the dà quel tono di autorevolezza: è come se dicesse “sei tu l’unica”. Myriam mi spiegava di essere la prima a fare questo tipo di consulenze sartoriali.
Food inquadra il settore di appartenenza, così possiamo capire subito di che ambito si tratta.
The food sister è un naming che sa di buono e sa di vero, chiarisce quello che Myriam fa e come lo fa.
La foto in copertina di Myriam con l’avocado è della mitica Giui.
Ho conosciuto Chiara e BalenaLab attraverso il web e ho avuto modo di apprezzare lo stile fresco ed efficace dei suoi testi. Quando è stato il momento di creare il nome per il mio progetto, non ho avuto dubbi nel rivolgermi a lei: sapevo che avrebbe saputo cogliere l’essenza del mio business. Ho lavorato con lei a distanza e sempre con molta trasparenza e chiarezza, il lavoro è stato veloce e incisivo, il risultato: un vero colpo di fulmine!
Myriam Sabolla, The food sister
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