Per essere notati abbiamo bisogno di creare valore. Quando siamo interessanti per qualcuno è di solito per quello che diciamo o per quello che facciamo: le persone iniziano a seguirci, ad apprezzarci, ad aspettare nostre notizie.È una questione di identità, la nostra, personale e di business insieme alla rilevanza dei contenuti che decidiamo di condividere. Ma una volta che abbiamo studiato la nostra attività, abbiamo definito cosa facciamo, a chi parliamo, come facciamo a capire quanto possiamo/dobbiamo scendere nel personale per farci conoscere e percepire come professionisti validi?
Personal branding: perché raccontarsi
Parlare di te, mostrarti per quello che sei è un modo per creare fiducia, per instaurare un rapporto vero con le persone. Non c’è niente che ispiri più della verità.
Potresti dirmi “ma a che serve tutto questo raccontare quando le persone guardano il prezzo?”.
La strategia del prezzo VS la strategia dell’attenzione
Oggi la strategia del prezzo non è più così efficace come una volta: sconti e offerte ci attraggono solo per certi prodotti che non ci definiscono (tipo un ammorbidente) ma quando si tratta di qualcosa di importante per noi in cui riconosciamo la nostra filosofia (come un ammorbidente eco friendly che può far parte della mia narrazione di essere umano attento all’ambiente), cambia tutto. Ecco che compriamo l’iPhone, frequentiamo quel corso con quel docente bravissimo anche se costa tre volte di più degli altri, andiamo da Pavé per la Cassis, acquistiamo uno smalto di Chanel invece che tre di Sephora, le scarpe di Prada, ci facciamo fare il tatuaggio da La Bigotta (sempre se riapre il booking) invece che dal tatuatore di paese.
C’è molta più concorrenza di aziende con prodotti buoni od ottimi; quello che fa la differenza è il modo in cui si raccontano, le informazioni che scelgono di veicolare e il modo in cui lo fanno.
La strategia del prezzo a ribasso è stata sostituita dalla strategia dell’attenzione e della reputazione. Sono più gratificanti le relazioni che si creano basate sulla costruzione di un mondo narrativo intorno al brand e alla lunga lasciano sia a te sia a chi compra da te la sensazione di aver fatto un’esperienza e non un acquisto.
Che ruolo ha lo storytelling?
Le storie hanno un potere pazzesco.
Senza andare a scomodare registi e autori, Chiara Ferragni e Gianni Morandi, grandi storyteller del nostro tempo che hanno saputo rendere la loro vita un prodotto, le storie sono il motivo per cui hanno avuto molto successo i VLOG, video blog giornalieri di pochi minuti in cui persone da tutto il mondo raccontano la propria vita a puntate su YouTube. Seguire le vite delle persone alla lunga ci fa affezionare a loro. È l’effetto Grande Fratello, ma con la possibilità di seguire persone interessanti che scegliamo per imparare dalle loro vite.
Le storie al servizio della tua mission
Anche noi tutti in questi ultimi anni, con il nostro piccolo business, siamo stati educati a pane e storytelling: ci hanno spronato con i “racconta!”, “se non lo racconti non esiste”, ed è stato questo uno dei motivi per cui ci siamo ritrovati le Stories di Instagram intasate di monologhi lunghi 10 minuti in tranche da 10 secondi sul nulla.
È vero, è importante raccontare, ma dello storytelling dobbiamo fare un buon uso per non rischiare di perderci in storie che non sanno raccontare e che non parlano di quello che ci sta a cuore.
Va usato per mostrare il nostro lato umano oltre che quello professionale, certo: ma entrambi devono rifarsi alla coerenza. Questa coerenza si chiama personal branding.
Racconta i risultati, le collaborazioni, le esperienze, le passioni e gli interessi che servono a supportare l’evidenza, la tua tesi, cioè che sei un bravo professionista e credi in qualcosa.
Sei tu che decidi cosa mostrare e come mostrarlo: ogni elemento della storia è un pezzo del puzzle che compone la tua immagine online. Ti dicevo, i risultati: è un modo che io trovo molto funzionale per una strategia di personal branding. Raccontare come sei arrivato a un risultato:
• dimostra le tue competenze
• aiuta le persone a ottenere risultati simili
• stimola le persone a chiederti di aiutarle a ottenere quei risultati quando non hanno le capacità o il tempo per farlo da sole.
La coerenza: la tua bussola
Puoi raccontare delle tue giornate con i tuoi figli, della tua gita in barca, delle tue mestruazioni se è funzionale al tuo business, ma se non lo è lascia perdere.
Una delle cose più difficili da fare è quella di restare focalizzati sui propri obiettivi durante le nostre narrazioni: seleziona le informazioni che servono a far conoscere il tuo business. Quando sai dove vuoi arrivare è più facile immaginare la linea che ti ci porta. Nel percorso dovrai tracciare con le tue azioni e narrazioni la linea della tua reputazione, proteggerla, migliorarla. Progettare esperienze intorno a un’idea, a un obiettivo è il modo che hai per farti riconoscere.
La coerenza è fatta di tanti aspetti, coinvolge l’identità visiva, il nome, il logo, la foto profilo, la comunicazione sui social, la tua newsletter, i tuoi interventi offline come speaker: tutto deve parlare la stessa lingua.
Per cosa vuoi essere ricordata? Così mi disse Enrica durante l’ora di consulenza di marketing. Ed è una domanda tanto semplice quanto essenziale.
Vuoi essere ricordata come quella che gira il mondo con pochi euro, che balla la pole dance, quella che lavora in pigiama o come quella che studia i nomi per i brand?
C’è questa idea che selezionare le informazioni sia un modo per prendere in giro le persone facendo vedere solo qualche aspetto di noi: io trovo che invece sia necessario per semplificare e consegnare un’immagine nitida alle persone che devono decidere se sposare il nostro mondo o meno.
Autentico non vuol dire tutto senza filtri: autentico è ciò che ci rappresenta più intimamente, che può e deve essere curato. Sono convinta che la parola strategia non sia una bestia nera, ma che anzi esplorarla e trovarne un significato per noi ci aiuti a far chiarezza, a selezionare le informazioni per renderle più piacevoli e digeribili per chi ne fruisce senza confondere le idee. Siamo mondi, siamo tanti e tante cose insieme, ma non tutte sono interessanti.
Quanto dire
Quanto scendere in profondità può riguardare il cosa dire di noi ma anche il quanto dire: in genere è buona pratica offrire di più a chi chiede di più e dare meno a chi ancora conosce poco perché possa incuriosirsi e sia spinto a desiderare di più.
Il primo step è quello di dimostrare il tuo valore: i social hanno un po’ questo compito, di accennare a un mondo molto più complesso: Facebook, Instagram per esempio.
Poi si tratta di offrire valore: qui si inseriscono strumenti come il blog, i webinar, risorse che metti a disposizione, le consulenze.
In ultimo arriva il momento di creare relazioni: Instagram (Feed e Stories) in questo momento è una buona piazza per confrontarsi, la tua newsletter potrebbe contenere temi più personali ma sempre finalizzati a far luce su aspetti del tuo lavoro o di te come professionista, i corsi dal vivo dove puoi incontrare e fare tesoro delle domande che ti faranno.
Non prendere questa scansione con troppa rigidità. Sono azioni trasversali che possono inserirsi in ogni momento della tua attività e spalmarsi su più strumenti contemporaneamente. Tutte le tue narrazioni devono essere parte di un’unica narrazione più grande che racconta la tua unicità: si chiama capitale narrativo.
Un’idea, tante storie: il capitale narrativo
La nostra identità ha una forma liquida: raccontiamo la stessa storia su canali diversi tenendo conto delle regole di ogni canale. L’uniformità nella narrazione te la dà lo stile con cui scegli di comunicare: riguarda la selezione dei contenuti e la modalità di comunicarli.
Chi ha un business deve imparare a creare tante narrazioni all’interno di una narrazione principale perché sia coerente, chiara, organizzata.
Una narrazione per differenziarsi dalle altre deve possedere personalità, incuriosire, coinvolgere ed essere capace di connettersi con il pubblico, mettendo in evidenza valori e pensieri condivisi e condivisibili.
Come accade in un film, se chi segue la tua narrazione si riconosce nella storia, riesce a vivere le stesse sensazioni, uscirà dal racconto trasformato dalla narrazione stessa. E non è proprio questo il nostro obiettivo? Migliorare la vita delle persone con il nostro prodotto/servizio, mettere a disposizione la nostra esperienza/competenze, ispirarli con il nostro pensiero/filosofia?
Facciamo un paio di esempi: l’about page e le storie su Instagram. Poche cose in comunicazione sono più importanti della pagina Chi sono. Non tutti la leggono ma probabilmente il 99% delle persone che hanno acquistato da te l’hanno letta.
About page
L’about page ha lo scopo di raccontarti, di disegnare un quadro in cui ci sei tu e le persone che ti stanno leggendo, il tuo lavoro e quello in cui credi. Crea una relazione con chi legge ed è per questo che dovresti dedicarle tempo, analizzando te e la tua professione come fosse una sorta di seduta dallo psicanalista, lavorando su una buona scrittura che porti avanti la tua voce. Quali informazioni mettere? Solo quelle che ti servono per il tuo obiettivo. Non perderti nei tuoi studi da geometra se ti stai proponendo come wedding planner, non serve sapere che viaggi molto se sei un programmatore web, non mi interessa un video di te che canti con la tua band se fai l’illustratrice.
Instagram Stories
Lo stesso vale per le Instagram Stories che sono un ottimo strumento di engagement. Utilizza il buon senso. Cosa raccontare nelle Stories? Quello che vuoi, purché abbia un senso per il tuo obiettivo. Analizza i profili che ti piacciono e che trovi interessanti, cosa fanno? Che contenuti propongono? Cosa puoi fare tu? Non copiare mi raccomando, ispirazione è un’altra cosa.
Il capitale narrativo è quello che può fare la differenza in un mercato colmo di messaggi e contenuti; sarà la molla per farti scegliere. Le persone sono sempre meno attente agli stimoli perché ce ne sono troppi: si orienteranno verso prodotti di cui condividono la storia, verso ciò che è in grado di suscitare in loro più emozioni, verso brand che ascoltano e rispondono ai bisogni. E questo si può fare non condividendo tutto di noi ma con una selezione attenta e strategica dei contenuti.