Naming à la carte è la rubrica che commenta i nomi dei ristoranti, dei bar e dei locali di Parigi in cui vado.

Frastornata, soddisfatta, libera e ricettiva. Sono uscita così dall’Arpège, il 26 gennaio scorso per festeggiare il compleanno del mio compagno. Una serata attesa da 10 anni per lui, un regalo che si meritava, diventato per me un “comparerò tutti i prossimi ristoranti con te, caro Arpège”.

Vorrei precisare che per comparire in questa rubrica nessun ristorante mi paga, né mi offre la cena. Scelgo in autonomia quali nomi raccontare, senza chiedere approvazione su ciò che ho scritto.

Un po’ di storia

Portato avanti con autentica passione dallo chef Alain Passard, L’Arpège apre nel 1986 nei locali del ristorante L’Archestrate di Alain Senderens, maestro di Passard, al numero 84 di rue de Varenne, nel 7° arrondissement di Parigi.

Nel 2001, quando il suo ristorante vantava già ben tre stelle Michelin, Passard decide di stravolgerne la cucina promettendo, da quel momento in poi, di non servire più carne rossa ma concentrarsi solo su piatti a base di verdure (come non amarlo?). Diventa così il pioniere e fautore della nuova haute cuisine in Francia: quella dei vegetali. Ci crede così tanto che per rifornire L’Arpège, nel 2002 acquista un orto nella Sarthe (un dipartimento a Sud-Ovest di Parigi), un secondo nell’Eure (vicino Rouen) e un terzo nella Manica.

La freschezza è un requisito fondamentale, le verdure arrivano al ristorante poco dopo essere state colte e vengono consumate entro la fine della giornata. Qui gli ortaggi, ne sono sicura, sono proprio contenti di essere lavorati da uno tra i più abili chef del mondo. Lo scopo è quello di dare loro un gusto e un ruolo mai raggiunto prima in cucina.

Per il mondo dell’alta gastronomia si rivela una scelta talmente rivoluzionaria e in anticipo coi tempi che non tutti furono pronti a digerirla. Così qualche tempo più tardi l’Arpège reintroduce, seppure in quantità marginali, qualche piatto a base animale. E così è tuttora.

Oggi l’Arpège vanta una lista gonfia di premi e riconoscimenti internazionali tra i quali tre stelle Michelin attive dal 1996, il miglior ristorante europeo nel 2017 e l’ottava posizione nella classifica The World’s 50 Best Restaurants del 2018. Nello stesso anno Alain Passard viene nominato il migliore chef del mondo nella classifica Les 100 Chefs redatta dai più importanti chef stellati del pianeta. E potrei continuare.

L’universo creativo dello chef Alain Passard

“Je suis né dans une famille très artistique, une famille où la main était partout : une grand-mère cuisinière, un grand-père sculpteur, une mère passionnée de couture et un père musicien.”
– Alain Passard

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Crédits : Pauline LeGoff

Alain Passard viene da una famiglia di artisti dove, come dice lui, le mani sono dappertutto. Sua nonna cucinava, suo nonno era scultore, sua mamma appassionata di cucito e suo padre musicista. E lui per non sbagliare, ha preso un po’ di ognuno.

Musicista, pittore e scultore, Alain Passard ai fornelli si fa guidare dall’improvvisazione, quella che ti puoi permettere solo quando padroneggi enormemente ingredienti e cotture. Nella sua cucina, sembra un musicista jazz. Si affida a una tecnica solida e, con in testa la perfezione, parte a ruota libera per creare una partitura tanto effimera quanto vivace. Il nome del suo ristorante L’Arpège arriva probabilmente da qui, dal suo alter ego sassofonista che può ascoltare John Coltrane, Keith Jarrett, Chat Baker per ore. “Vivo per la creazione”, dice. “Mi piace destabilizzarmi per trovare qualcosa che nessuno ha mai inventato prima. È l’unico modo per creare una cucina viva che coinvolga tutti i cinque sensi”.

All’Arpège tutto parla di lui. Ogni scelta comunica il suo gusto e la sua filosofia. Lo chef Passard si dedica alle arti, al collage, alle litografie, ai bronzi: i piatti in cui mangiamo sono disegnati da lui e raffigurano il mondo vegetale. Ricerca il risultato ma anche il gesto che lo accompagna da cui non può prescindere.

Entrando nella sala principale, lo stile di interior design è sobrio e naturale. I materiali solidi ed essenziali, molto legno chiaro e tonalità neutre che lasciano la scena ai colori delle verdure di stagione. L’ambiente è delicato e raffinato senza strafare. Una grande parete è dedicata a verdure dipinte: saranno forse opera dello chef? Probabile.

MAISON FRAGILE Alain Passard ©dimajstudio
MAISON FRAGILE Alain Passard ©dimajstudio

Il significato del nome

“Arpège” vuol dire arpeggio. Si riferisce a una tecnica di suonare gli accordi musicali mediante il tocco non contemporaneo dei tasti o delle corde relative ai singoli suoni che compongono l’accordo. La prima associazione è sicuramente a favore di un’esperienza culinaria armoniosa e melodica, in cui i sapori si combinano in modo equilibrato e piacevole. Arpeggio, a sua volta, è un termine che deriva dalla parola arpa, dal protogermanico harpon, poi harpfa, oggi harfe. L’arpeggio viene suonato generalmente dalla nota più bassa a quella più alta; se va suonato alla rovescia viene allora detto rovesciato. Perché indugio su questo particolare? Perché c’è dentro la parola arpeggio, una specie di salita, dall’oscurità verso la luce: nell’arpeggio musicale, una nota dopo l’altra saliamo verso le note più alte. Il nome Arpège suggerisce un’escalation delicata, un piatto dopo l’altro, come una sorpresa a cui segue sempre una sorpresa più grande. 

Nell’arpeggio c’è anche l’idea della regola e della forma: le note degli arpeggi sono precise e definite. Sono le note che rivelano un accordo, struttura stabile di una melodia che ne determina l’anima malinconica (minore) o allegra (maggiore). Ogni nota, in un arpeggio si prende il proprio momento di gloria, così ogni piatto e soprattutto ogni verdura.

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Crédits : Vins et gastronomie

La forma: aspetto, pronuncia, fonosimbolismo

L’Arpège è un nome breve, suggestivo e deviante (vuol dire che esiste nel linguaggio comune ma non viene usato per connotare l’oggetto significato). Al contrario dei nomi descrittivi che aiutano a capire in cosa consiste l’attività, i suggestivi creano immagini e un feeling che si lega alla marca. L’Arpège suggerisce un mondo elegante, melodioso, dove tutto è connesso. La parola ha un suono armonico, che danza leggero, che trasmette calma, lentezza, luminosità. L’accento sulla penultima sillaba fa sì che si crei una sorta di V sonora. La sua pronuncia \aʁ.pɛʒ\ si appoggia con delicatezza, lasciando quasi aperta la parola in un levare che scivola su questa /g/ che diventa quasi un suono /sc/ e richiama onomatopeicamente il silenzio.

Il salone del ristorante L’Arpège decorato da maisons Lesage et Goossens. © Julie Ansiau

Posizionamento e marketing

Dal punto di vista del marketing, L’Arpège si posiziona come un ristorante stabile, attento, elegante. Il nome come l’interior design e come la comunicazione tutta, suggerisce una sobrietà, una bellezza discreta mai esibita, mai troppa, mai falsa.

Il nome ci porta verso l’arte e la creatività: ci immergiamo in un’esperienza estetica, quella musicale, dove si seguono le regole ma dove anche si possono infrangere. Si sente un mondo sensoriale che batte dietro questo nome: l’udito e il gusto sono due sensi legati alla memoria e ai ricordi. L’Arpège è per persone che amano il ben fatto, che vogliono essere sorprese, che si abbandonano con fiducia al mai provato, che sanno piangere per una vellutata di zucca, che hanno una vita piena ma che per quella sera hanno deciso che tutto il resto rimarrà fuori, che pensano all’ambiente, ne sono preoccupati e si sentono di fare scelte in linea con le loro preoccupazioni, che coltivano un approccio più rispettoso verso il cibo, più consapevole e salutare.

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Credits : Dos Santos Lemone

A livello legale

L’Arpège è un nome registrato in ben 8 categorie merceologiche, protetto legalmente dal 1990. È un nome usato in altri paesi e in altri settori, in uso anche nella categoria della ristorazione. Ci sono altre strutture che si chiamano Arpège (senza l’articolo), una anche a Parigi con nome registrato nel 1988 quindi due anni prima.