Fare più cose contemporaneamente mi ha portato in ospedale. Non tanto per dire, ma proprio per fare. A un certo punto il cuore si è fermato e poi per fortuna è ripartito.

Il nostro cervello (e il nostro cuore) non la prende bene quando pretendiamo di fare più azioni o assumere più informazioni nello stesso tempo.
L’idea di poter processare molti dati contemporaneamente consuma tutte le mie energie e anche le tue (a meno che tu non sia un supereroe, sei un supereroe?).
Non posso negare però la soddisfazione che provo quando surfo tra tutte quelle tab aperte su Chrome, della mano destra che scrive sulla tastiera, della sinistra che apre la bottiglietta d’acqua, della spalla che puntella il telefono all’orecchio mentre converso con un cliente e penso se ho lavato la roba per Pilates, mentre controllo le notifiche di Facebook e con un occhio fulmino il gatto perché non faccia cadere il vaso di fiori freschi.
La verità è che incrociare le cose mi fa sentire più efficiente, più produttiva, come se la stessi facendo in barba al tempo che piano piano. Va beh, non lo dico. Se ne va. L’ho detto.

Il cervello e il business dell’illusione

Earl Miller, uno di quelli forti (Massachusetts Institute of Technology) dice che ci illudiamo di poter fare molto bene i multitaskoni. In realtà stiamo passando da un compito all’altro con grande rapidità. Ogni volta che lo facciamo, paghiamo un prezzo, un prezzo fuori di testa, un prezzo cognitivo.
Senza addentrarmi in considerazioni scientifiche che rinomatamente non sono il mio campo, essere multitasking aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress e anche di adrenalina, andando a stimolare il cervello in maniera esagerata.
Si innesca un circolo vizioso che premia il cervello se perde la concentrazione (cosa che viene resa sempre più facile dalla pratica) e se cerca stimoli diversi.
Ci convinciamo di essere felici perché facciamo un sacco di cose insieme. Perché siamo capaci, performanti, produttivi.
Viviamo immersi in un flusso continuo di dati e ci sguazziamo.
Ma una volta che finisce l’effetto WOW guardaquantecosehofatto, cosa mi rimane?

Stress

Ansia, tachicardia, nervosismo, mal di pancia, parole brutte al fidanzato, alla mamma, a se stessi, insonnia.

Paura della noia

Ho il terrore di annoiarmi. Di alzare lo sguardo e di accorgermi che non ho niente da fare, da dire, da ascoltare, da scrivere. Faccio tante cose insieme perché non posso più farne a meno, perché un tempo in assenza, un tempo vuoto non è più concepibile.

Caccia al rimpianto

Si genera una rincorsa al fare per scongiurare i rimpianti, quello che non ho fatto, che non ho detto, che non è abbastanza. Di quello che perdo, quando faccio una scelta di valore, quando prendo una strada al posto di un’altra.

Tecno controllo

Devo avere sotto controllo tutte le informazioni in entrata e in uscita. Una mail non letta genera mostri, la disperazione quando la connessione del cellulare non prende, la furia di dover rispondere subito e di avere risposte immediate.
Lavoro e vita si confondono, non so più dove finisce uno e dove inizia l’altro anche perché gli strumenti che uso per gestirli sono gli stessi per entrambi, gli occhi, le mani, lo Smartphone, il portatile.

Così ho deciso di darmi delle regole partendo dal lavoro (che in teoria dovrebbe essere più facile) mettendole per iscritto e prendendo quindi un impegno con me stessa.

Breve lista delle piccole cose salvavita 

Imparare a dire di no a qualche lavoro

Saper valutare un progetto è fondamentale, capire quanto tempo richiede e quanto tempo ho realmente a disposizione per seguirlo, quanto piacere ho a realizzarlo, quanto mi porterà beneficio.

Ridefinire il concetto di urgenza

Se dico al cliente che ho bisogno di una settimana per consegnare il progetto e non riesco per domani come lui vorrebbe, sto difendendo la mia professionalità e la qualità del mio lavoro. Quante consegne urgenti lo sono per davvero? Le urgenze lasciamole alle sale operatorie. E comunque, se fosse proprio così necessario, l’urgenza costa.

L’importanza dei confini

La disponibilità è uno degli aspetti che spesso differenzia un freelance da una struttura aziendale. Il fatto che si abbia un unico interlocutore, un sistema rapido e flessibile per comunicare e per confrontarsi è sicuramente un plus. Sarebbe opportuno non rispondere ai messaggi dei clienti il sabato e la domenica e nemmeno alle mail del martedì a mezzanotte, tenere un cuscinetto, morbido abbastanza per essere comodi entrambi ma che ci sia, per dare qualche centimetro di distanza.

Accendere la creatività, spegnere il resto

Quando lavori prova a disattivare tutte le notifiche di tutti i dispositivi (mail, social, What’s App), quando necessario spegni del tutto lo Smartphone. Questo ti permetterà di essere concentrato su quello che stai facendo senza soccombere all’ansia di dover rispondere ai diversi input, perdendoti.

Un passo alla volta

Sto lavorando a un progetto che mi richiede una scarsa presenza sul web ma al contrario un grande impegno “analogico”: la maggior parte dei materiali sono cartacei e l’intenzione è quella di lavorare con colori, fogli, mappe, appunti, forbici e colla. Sento che ne ho bisogno, mi rende più pronta a recepire nuovi stimoli o a vedere le stesse cose con occhi nuovi o da un punto di vista diverso.

Il multitasking è davvero difficile in questo caso perché le mani, gli occhi, la testa sono più propensi a stare tutti vicini e a fare una sola cosa tutti insieme. Se lavori con il computer puoi farcela lo stesso, ma è decisamente più difficile.

Ci sono cose che possiamo risolvere benissimo con una buona agenda, organizzazione, accurate to do list e una giornata di sole.

Per tutto il resto ci dobbiamo impegnare: per lavorare meglio bisogna pensare meglio e vivere meglio.
Per me la cosa più complicata in fondo è sempre stata sopravvivere a me stessa senza perdermi dietro quello che non ho, trovare l’energia in me e nelle persone che ho intorno e non cedere alla disperazione per quelle che non potrò avere vicine.
Ritrovare il piacere di dedicarmi completamente a una cosa o a una persona alla volta.
La convinzione che il tempo che passa, se speso con attenzione, sia tempo guadagnato, e non la somma dei giorni persi.
Pronti a creare dalla gioia e dalla calma, dalla conoscenza e dalla semplicità, ma anche dalla sofferenza e dalla difficoltà, pronti a dare un senso, un ruolo, una forma.
Possiamo decidere come reagire alle sollecitazioni della vita, costruire o distruggere, verso un’idea di perfezione da rincorrere costantemente o verso una nostra originale e personalissima imperfezione.

Il modo migliore per sentirsi umani non è un terzo occhio sempre aperto sul mondo che non ci faccia perdere niente di quello che c’è intorno, ma sapere che niente ci potrà mai appartenere del tutto, nemmeno le cose che mettiamo sotto chiave, che comprendere i limiti è un ottimo modo per prenderci cura dei contorni e di quello che decidiamo di metterci dentro.

 

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