Lunedì scorso mi sono svegliata senza riuscire a dire nemmeno una parola. Niente, non riuscivo a emettere nessun suono. Nemmeno un rauco buongiorno. È così che inizia la mia storia di silenzio.

Cosa è successo

Sono andata dal dottore che nel linguaggio dei segni si vede che è fortissimo perché ha capito cosa volevo dire senza che io dovessi esibirmi nella performance del “rantolo della morte”. Con la farmacia è andata più che bene, ho indicato le scritte sulle ricette con un dito in salute.

Quello che non è andato altrettanto bene sono state le registrazioni che ho dovuto annullare e tutti gli incontri con i clienti, di persona e telefonici. Una speaker che rimane senza voce (per un tempo circoscritto) è un parziale disastro (se no sarebbe un totale disastro).
Avverto così gli studi di registrazione e i clienti che sono momentaneamente fuori uso e che mi auguro che tutto riprenderà a funzionare fra una settimana circa (quando l’ho detto non lo sapevo con certezza ma ci ho tanto sperato) anche perché così grave non mi era capitato mai. Dopo aver prospettato scenari apocalittici in cui rimanevo muta a vita o mi tornava una voce tipo quella di Rockfeller mi sono messa a fare il mio bel aerosol. Che sorpresa scoprire che con i nuovi marchingegni non è più un’agonia di 30 minuti ma il tutto dura sì e no 3 minuti (se raddoppi la dose a 2 ml per guarire prima, dura al massimo 5 minuti, e ti fermano per anti doping).

L’inaspettato

Oggi ho timidamente ricominciato a parlare. Quasi non volevo.
Questi 5 giorni senza parlare mi hanno insegnato molto. Ho spedito tantissime mail, ho letto di più, ho lavorato scrivendo il doppio, ho guardato con più attenzione qualsiasi cosa anche statica e soprattutto ho ascoltato. Dopo anni nella comunicazione, verbale non-verbale, dopo le dirette in radio, le interviste, le telefonate, le spiegazioni, le battute, le risate, le urla, i meeting, ecco che all’improvviso scopro quanto mi piaccia il silenzio e quanto esso in realtà sia uno strumento fondamentale sia nella vita che nel mio lavoro. Mi sono scoperta davvero attenta a quello che accadeva fuori di me, come se accadesse per la prima volta.

Anche una storia di silenzio può raccontare molto

Non partirò con il pippone sulla voce interiore, perché quella a dire la verità non l’ho sentita, per cui state sereni, no new age time. Ma.
Servirebbe un bel corso di educazione al silenzio e all’ascolto per tutti.
E non sto parlando del gioco del silenzio che facevamo da piccoli che aveva lo scopo di farci passare il tempo nell’ora di supplenza perché non disturbassimo troppo la nostra insegnante che non aveva voglia di spremersi di più. Non è a non disturbare che serve il silenzio.
Il silenzio serve piuttosto a comunicare perché ti mette in condizione di ascoltare e l’ascolto ti permette di costruire relazioni di qualità.
Mi è capitato spesso di parlare in pubblico, di leggere in pubblico, di parlare a moltissime persone attraverso un microfono: le pause mi hanno sempre aiutato a respirare, ad appoggiare la voce con più incisività, a ricacciare l’imbarazzo, ad aggiustare il suono, a pensare di più le parole.

Cosa ho imparato

Che una storia di silenzio è una storia ricca di informazioni se solo siamo disposti a leggerle. Che spesso bisogna togliere la cortina della prima impressione per trovare il valore delle esperienze che viviamo. Ho imparato a fare più attenzione alla mia comunicazione, a usare il silenzio come strumento di benessere perché capire meglio fa bene a tutti, sia a chi parla che a chi ascolta. E adesso vai con l’aerosol.

 

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