Settembre è il mese della pianificazione, è il mese in cui se fa fresco fuori non lo dà troppo a vedere.
Settembre è il mese in cui mentre le foglie degli alberi cadono, le buone intenzioni fioriscono e quando va bene, diventano progetti realizzabili, vigorosi e dal buon sapore.
Se ttembre mi dà tanto, io lo ringrazio.
Settembre e i suoi giorni sperimentali di “e se facessi?”, della strategia e dell’uva.
Nei giorni di settembre, io penso a cosa fare di più e meglio, e mi ritrovo a pensare a te caro cliente.
Nei giorni in cui l’amore è folle e ti penso così forte, metto in ordine e parto con il piede giusto. Così ieri ho preso Sesamo, il mio Mac e sono andata al lago per perdere un po’ di tempo* di questo settembre.

Un questionario che si chiama Marino

Ti scrivo dalla riva del Lago di Garda, dal porticciolo di San Felice del Benaco: ho voglia di dirti che in questo mese ho inventato una cosa nuova per il mio lavoro che mi è molto utile. Questa invenzione l’ho chiamata Marino perché questionario o brief mi sembravano nomi tristi.

Marino nasce da due esigenze:

1. ottimizzare il mio tempo**
2. far incontrare quello che vuole dirmi il cliente con quello che serve a me per lavorare sul suo progetto.

Marino ha il compito di mettere in luce il processo creativo dall’inizio alla fine, di scoprire da dove partiamo e dove vogliamo arrivare, mi permette di conoscere il cliente e mettere il focus su ciò che è rilevante: è un questionario, quasi mai breve, articolato e personalizzato a seconda del progetto e del cliente, che mi serve per orientare il mio lavoro attraverso i dati e l’analisi della situazione.

Le domande di Marino riguardano:

  • Brand
  • Concept e filosofia
  • Target e competitor
  • Tono di voce e stile
  • Marketing e posizionamento

Brand

Vado alla ricerca della storia dell’azienda o del libero professionista, del modo in cui è, e del modo in cui si presenta sul mercato.
Si parla di prodotti e servizi e si condivide la Unique Selling Proposition, quella promessa unica, che gli permette di distinguersi dalla concorrenza. Di solito qui, inizia la prima crisi mistica. Se non c’è la USP, ci sforziamo di tirarla fuori insieme. Un parto, praticamente. La frase da tifoseria che ripeto sempre in questa fase è: non vendere un prodotto, offri un vantaggio.

Concept e filosofia

La filosofia, il concept, i valori mi fanno conoscere l’azienda più della sua storia: cosa è importante per il cliente è anche quello che sarà importante per me, che determinerà il messaggio che mi impegnerò a veicolare. Sono le cose in cui il cliente crede, quello che dovrà rimanere in testa alle persone che visiteranno quella pagina web, a quelle che vedranno quel video, che sentiranno quel nome o leggeranno quella brochure.

Target e competitor

Qui parte la seconda crisi: a chi parlare?
La risposta è quasi sempre “A tutti!”
Peccato che parlare a tutti equivalga a non parlare a nessuno.
Più ampio e diversificato è il target, più sarà debole il messaggio: il target è quella persona che ha un problema di cui tu hai la soluzione. Gioia Gottini, coltivatrice di successi, parla con estrema chiarezza di come definire il proprio target in questo articolo. Lo stesso vale per i competitor: una sana curiosità nei loro confronti e nei confronti del mercato può portare consapevolezza. Cosa ci piace e cosa no, cosa vogliamo diventare e cosa no.

Tono di voce e stile

È la parte in cui con diversi metodi, associazione di idee, tabelle di brand personality, brand archetype, ritratto cinese e tanti, tantissimi aggettivi scopro che tono di voce hanno o desiderano i miei clienti. Così so quale registro utilizzare, quale linguaggio, quali parole, con che stile raccontare la loro storia.

Marketing e posizionamento

La parte che riguarda il posizionamento disegna l’immagine del prodotto o del servizio nella mente delle persone a cui ci si rivolge. Le domande di questa sezione svelano i bisogni del target e i lati positivi del prodotto o del servizio che hanno la funzione di differenziare questo brand da tutti gli altri.

I vantaggi del questionario

Da quando c’è il questionario Marino io sto meglio perché:
1. mi dà sicurezza, mi fa allineare perfettamente alla consegna e mi permette di centrare l’obiettivo con le informazioni giuste;
2. risparmio tempo, mi facilita l’acquisizione di importanti informazioni;
3. fa capire al mio cliente il valore che c’è dietro al mio lavoro (non scrivo testi per passatempo o solo perché conosco bene la grammatica) dimostrando che un nome, un testo, uno script sono materiali strategici;
4. fa sentire il cliente coinvolto in un lavoro di squadra e lo responsabilizza;
5. aiuta il cliente a prendere consapevolezza di aspetti che non erano così chiari neanche a lui.

Per ogni attività, naming, payoff, testi web, testi pubblicitari c’è un Marino base che viene personalizzato per ogni cliente tenendo conto della sua situazione. Ogni 6 mesi faccio un check delle domande e lo aggiorno controllando che mi porti le informazioni migliori in base alle risposte che mi hanno dato i clienti in quel lasso di tempo. Formulo diversamente le domande, aggiungo sezioni, ne tolgo altre, implemento il questionario con ciò che di nuovo scopro o penso mi possa essere utile in questa fase di scoperta: Marino è sempre aggiornato e va di pari passo con la mia professionalità e con gli strumenti creativi che sperimento per questa fase di briefing.


Un questionario così strutturato porta alla luce la difficoltà di identificare diversi aspetti del nostro brand, in particolare il target, la tua tribù da amare, il tuo pubblico. Anche per me è stato difficile accettare che è un bene non piacere a tutti, che questa è l’unica possibilità per avere successo, per salvaguardare il senso intimo che risiede nel comunicare, nell’esprimersi, nel realizzarmi nella mia vita creativa. Che ci sono delle persone là fuori perfette per noi e per i nostri servizi e soprattutto che i nostri servizi sono perfetti per un gruppo di persone che ha un problema che noi possiamo risolvere.

*Non ho un buon rapporto con il tempo perso, mi sembra qualcosa di cui dovrei vergognarmi, un fallimento che non dovrei ammettere neanche sotto tortura. Ma la verità è che il tempo perso è un tempo in potenza, un tempo a cui non chiediamo di essere niente, in cui non ci imponiamo di essere di più di quello che vogliamo essere, e per questo quasi un tempo in aggiunta. Un tempo che ci permettiamo di perdere, a cui permettiamo di sorprenderci. E in un percorso di crescita personale o professionale è quasi importante quanto il tempo laborioso e programmato. Cosa può succedere se guardo le barche, bevo il mio spritz e vedo cosa spunta su questo foglio bianco?

 

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