Ho ritrovato il quaderno in cui 3 anni fa è iniziata la storia di BalenaLab.
Quando è cominciata non si chiamava nemmeno BalenaLab perché, come tutte le cose prima di nascere, non aveva un nome.
La prima pagina è dedicata alle proposte di naming, a dir la verità anche la seconda e la terza. Nella quarta c’è un abbozzo di diario di bordo, le sensazioni a caldo dopo aver conosciuto il mio commercialista.
Nella quinta ci sono tre balene disegnate in mezzo alle percentuali dei soldi che avrei dovuto dare allo Stato, IRPEF, INPS e altre parolacce.
Da lì in poi si mischiano le to do list e gli appunti per la realizzazione del sito internet, la gestione dei social e due pagine dedicate ai gadget: mi entusiasmava tantissimo pensare di regalare ai clienti e alle persone che incontravo, spillette, t-shirt, cartoline, borsette di stoffa. Faccio realizzare a MartedìMattina la mascotte Patti Balletti, mi sembra possa portare bene.
In principio fu il nome e poi il payoff
La prima cosa che ho fatto è stata trovare un nome: dare il nome alle cose serve a non averne paura e quando sono diventata freelance, avevo molta paura. BalenaLab è venuto fuori dopo giri lunghissimi: ho parlato del perché la Balena nel primo post del blog ma vorrei dedicare al mio nome un articolo in futuro.
Dopo il nome è stato il turno del payoff che doveva delineare il mio credo, doveva essere il faro, il pensiero alla base della mia attività di business: “Anche le idee sono giganti” significa che per me non può esserci una buona scrittura se dietro non c’è un buon pensiero, organizzato, con un obiettivo.
La storia di BalenaLab inizia così, con un nome ingombrante e un’idea forte in cui credo.
Motore, ciak, azione!
Quando apro la partita IVA abito in una casa di 50 mq poco illuminata e con le pareti piene di foto e frasi di autori che amo, lavoro in pigiama su un tavolone da falegname restaurato spostando il portatile quando è ora di mangiare, registro con il microfono dentro l’armadio dei cappotti per attutire i rumori d’ambiente, mi sento davvero sola, mi sento viva.
Sono sola in effetti, anche se il commercialista risponde volentieri ai miei dubbi e sono più che mai viva perché tutto è una mia responsabilità, per guadagnarmi da vivere devo fare le scelte giuste.
Leggo tutti i blog interessanti che mi capitano sotto mano con la sensazione di perderne tantissimi, riempio Feedly di link che non aprirò mai, frequento un corso di SEO e uno di social media strategy che mi apre la mente.
Di sera, dopo cena, lavoro al sito, scelgo un template, imparo a usare WordPress, progetto l’architettura dei contenuti, scrivo i testi. In quei primi mesi prendo le mie due grandi fregature: due aziende non mi pagano. Mi vergogno a chiedere i soldi che mi spettano, mi sembra brutto sollecitare, penso che esigere i miei soldi non sia gentile. Quando chiedo i miei soldi loro fanno finta di niente, mi viene il mal di pancia perché mi sembra un’ingiustizia, poi ci pensa l’avvocato.
Il sito internet
Faccio molti casini: gli occhi mi bruciano perché sto sempre davanti al computer e quando non so fare le cose cerco su internet come si fanno. Non esco più di casa, quando lo faccio anche solo per fare la spesa sono agitata. Per mettere il sito online mi faccio aiutare da Alessandro di Evo Studios che mi aveva affidato alcuni lavori di copywriting: è simpatico, professionale e disponibile.
Le prime foto sul sito me le faccio da sola: seduta sul letto senza darlo a vedere solo perché quella è l’unica parete libera di casa.
Il portatile è appoggiato su due cuscini perché se no non ci sta nell’inquadratura, la macchina fotografica è sopra un cavalletto preso dai cinesi che spero regga, imposto l’autoscatto a 10 secondi sperando di non morire inciampando in tutto quello che ho lasciato per terra, mi sistemo i capelli al volo, prendo in mano quaderni e cuffie, sorrido. In post produzione applico un filtro semi vintage che mi fa sembrare mia mamma da giovane.
I social e i mezzi di comunicazione
Apro un account su Facebook, uno su Instagram e uno su Google Plus. Mi registro a Soundcloud per caricare i file audio e utilizzarlo come portfolio per i voice over. Progetto un piano editoriale, il mio primo.
I visual della pagina Facebook sono tutti diversi tra loro perché mi annoio, alla faccia della riconoscibilità. Il logo lo disegno a mano prendendo spunto da una foto di una balena cuscino su Pinterest. So che non va bene, ma per i primi sei mesi va così: se funziona posso investire nel mio business. Inizio a scrivere sul blog sapendo che non mi legge ancora nessuno ma scrivendo come se molti lo stessero facendo. Scrivo prima due volte a settimana ma dura poco. Quando non riesco a pubblicare e salto una settimana mi sento molto in colpa e penso che non lavoro abbastanza sul mio brand. Passo a una volta a settimana e mi faccio revisionare gli articoli da William che si appassiona e inizia a scrivere anche lui per il blog.
Apro un account su Mailchimp: guardo 100 tutorial (alcuni più di una volta perché sono in inglese) per impostare la newsletter, il layout e il form sul sito. Quando invio la prima newsletter ci sono 14 iscritti, di cui una è mia mamma e 3 sono account di posta miei che mi sono serviti per fare prove di invio e altre paranoie. Alla fine di ogni giornata di lavoro mando mail con la presentazione di BalenaLab alle agenzie di comunicazione pensando che siano più sensibili all’argomento copywriting professionale. Mi aiuta William. Manda circa 1500 presentazioni. Qualcuno risponde, qualcuno lo vado a trovare, qualcun altro mi fa lavorare.
Sta funzionando.
Così chiedo a una grafica vera di farmi il logo: si chiama Chiara ed è ossessionata dalle balene come me. Ha delle belle idee e sceglierne solo una è difficile: dalla carta al computer alla fine opto per una balena squadrata color avio a forma di balloon e il naming sotto è scritto in font Roboto maiuscolo. Sono felice, decido la mia immagine, i miei colori, unisco i puntini della mia identità.
Di lì a poco contatto le ragazze di Officine Biancospino per un servizio fotografico di branding; pensano per me un set che si basa sui tre servizi che fornisco:
• copywriting
• voice over
• social media management
Nelle foto ho i capelli blu e sento che inizio a fare sul serio, a capire chi sono. Dopo poco mi accorgo che fare la SMM è troppo faticoso per me: non riesco a far capire ai clienti il valore del lavoro che c’è alle spalle di un post pubblicato o di una strategia e a farmi pagare il giusto, ma la motivazione più forte è che non trovo soddisfazione nel farlo così abbandono questo servizio e mi sento meglio.
Sorprese
Dopo un anno e mezzo smetto di mandare presentazioni alle agenzie e incontrare direttori creativi e responsabili delle risorse umane in un clima di costante colloquio in cui devo sempre dimostrare qualcosa, perché mi arrivano i clienti dal sito, ora mi cercano loro, aziende, freelance e anche agenzie.
Così chiedo a William di darmi una mano e occuparsi di progetti di web writing nel settore della tecnologia, dell’arte e del design. È il responsabile della comunicazione di un grande studio di architettura, ne sa a pacchi sull’argomento e io mi fido di lui, del suo piglio organizzativo, del suo essere puntuale e meticoloso, motivo per cui mi sento di affidargli anche la parte gestionale.
A maggio del 2016, un pomeriggio come un altro, viene e mi dice “Stamattina mi sono licenziato, voglio lavorare full time per BalenaLab”.
Dopo il panico del primo minuto e anche dei successivi 100 ci organizziamo per gestire questo cambiamento. So che le sue doti possono far crescere BalenaLab: gli affido tutti i clienti, l’organizzazione del lavoro e la parte finanziaria in toto, mentre io mi concentro sulla comunicazione e sulla parte operativa, la scrittura e le registrazioni.
Non è facile delegare, pensare che qualcuno possa fare meglio di te qualcosa, ma la divisione dei compiti è una gran cosa, quando ti rilassi, si risparmia tempo e si ottimizza il lavoro.
Codifichiamo la doppia revisione: io faccio un lavoro e lui revisiona, lui fa un lavoro io revisiono, non esce niente da qui senza l’approvazione di tutti e due.
Nella promozione “io” diventa “noi”, rifacciamo le foto di brand con le ragazze di Infraordinario Studio perché io ho i capelli cortissimi e ora siamo in due, un passaggio importante, anzi due. In queste foto rido di continuo e William si sente stranamente a suo agio a farsi fotografare. Litighiamo, festeggiamo, ci stanchiamo, ci appoggiamo.
Le tue scelte raccontano chi sei e chi vuoi diventare
Ho smesso di lavorare la sera, il sabato e la domenica. Ho smesso di leggere i blog di tutti e ne ho selezionati una decina che leggo senza affanno. Ho coordinato i visual su Facebook e sugli altri canali non perché non mi annoio più ma perché quello che ho scelto mi rispecchia. Quando voglio qualcosa di nuovo per un format grafico lo chiedo alla Chiara che mi ha fatto il logo. Investiamo in Facebook ADS per farci conoscere. Se salto una pubblicazione di un articolo del blog mi dispiace ma non vado in panico. La newsletter non è più l’avviso del post del blog ma una lettera al mese che spero sia di ispirazione ai miei lettori, ai nostri lettori. Selezioniamo i clienti con cui vogliamo davvero lavorare. Ci facciamo pagare in anticipo da persone che sono contente di pagarci perché sono contente di lavorare con noi. Continuo a lavorare ai naming e a fare i calendari editoriali solo su fogli di carta, registro in una cabina insonorizzata fatta a mano e a mia misura dal papà di William. Collaboriamo con una copy junior bravissima, Valentina e con Francesco, sound designer con i fiocchi. Dedichiamo un budget annuale alla formazione perché non ci sentiamo arrivati da nessuna parte ma vogliamo andare in molti posti.
Le scelte che fai sono la tua storia
La storia del tuo brand è tutto ciò con cui il cliente entra in contatto. Dai colori al logo, dal tono di voce a ciò che scegli di pubblicare sul blog o sui social, dai no che dici alle mail che mandi, da come rispondi al telefono ai tuoi prezzi.
La tua storia non è solo quello che dici o la tua pagina about, è anche quello che la gente sa, crede, dice di te basandosi sui segnali che il tuo brand invia.
È quello che speri che le persone possano cogliere un minuto prima di decidere di scriverti una mail.
La tua storia comunica il tuo valore e costruisce qualcosa che la gente desidera acquistare.
Perché ti ho raccontato questa storia?
Per farti sentire meno solo, per dirti che è illuminante quando scopri cosa sta guidando la tua storia e cosa aiuterà i tuoi clienti ad abbracciare il tuo brand.
Per dirti che le scelte sono spesso difficili ma ti definiscono, raccontano la tua storia con i fatti e ne vale la pena.